I miei risotti

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In questa congrega di buone forchette, di raffinati buongustai, mi permetto, non senza un tono di autocompiacimento, presentarvi i miei risotti.

I miei risotti
Mi è sempre piaciuto frequentare l’ambiente “cucina”. Mi sono sempre interessato a cosa la mamma preparava e assaggiando in corso d’opera davo il mio parere.
Mi sarebbe piaciuto frequentare la scuola di cucina ma i miei genitori preferirono le scuole più tradizionali (anche perché a Rimini non c’era ancora l’Istituto Alberghiero?).

Fin da bambino sono stato una buona forchetta; ero alle scuole elementari quando ritornando a casa: “Nando, hai la trippa?” urlavo passando di fronte al macellaio che era all’angolo di via Monte Titano con via Saffi/Covignano. E arrivavo a casa con la trippa che mamma cuoceva; per non parlare di altre golosità: la porchetta, i ciccioli, la testa (coppa di testa), la salsiccia, ecc… – tutti mangiari light…-
Ho sposato Bruna che, mettendo in pratica gli insegnamenti della suocera è diventata una cuoca raffinata: moglie, brava cuoca; io buona forchetta: connubio perfetto.

Nella vita di famiglia ci fu un periodo in cui entrambi lavoravamo e i figli andavano a scuola. Il mio lavoro (Capostazione) era basato sui turni, perciò avevo la possibilità di mettere la mani in cucina e preparavo il pranzo. In presenza di Bruna non mi era permesso, era tollerata la mia persona solo come aiutante o sguattero.
Al loro ritorno, ai miei familiari non rimaneva che lavarsi le mani e sedersi a tavola.

Secondo il mio parere per cucinare bisogna avere passione, manualità e anche un pizzico di fantasia… senza strafare, però. Non sono per la cosiddetta nouvelle cuisine.
La mia specialità era il risotto che spesso preparavo e che veniva mangiato con entusiasmo e compiacimento. “Come l’hai fatto? cosa ci hai messo?” Erano le domande più frequenti. “Ho fatto così, così, ecc…” “Sì, ma cosa ci hai aggiunto?”

Era mia consuetudine assaggiare quello che preparavo man mano che la mia “creazione” culinaria procedeva; aprivo il frigo, guardavo nella dispensa e aggiungevo altri ingredienti a caso – non completamente a caso, ma con un criterio compatibile – per cui i miei risotti riuscivano sempre diversi. “Ho aggiunto un po’ di questo….di questo….” Erano risotti unici e irripetibili perché non era mia abitudine prendere nota degli ingredienti che aggiungevo; però erano graditi.
Non chiedetemi come li facevo perché già all’epoca non lo ricordavo, ora dopo 40 anni…

Guido Pasini

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