Stefano Pelloni, chiamato da bambino Stuvanè – Passatore

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In Romagna nella prima metà dell’800 è vissuto un personaggio che, anche se morto giovanissimo (26 anni e 8 mesi), ha lasciato un ricordo imperituro. A lui sono state dedicate* poesie, opere teatrali, films, cantate e canzoni, commedie musicali, manifestazioni sportive, sagre e feste paesane.

Persino alcuni vini (Consorzio Vini di Romagna) hanno per marchio il suo presunto ritratto. Nelle sue losche imprese colpì anche in territorio riminese, a Santarcangelo.

Un personaggio discutibile e controverso; per alcuni benefattore, per altri spietato e crudele. Leggendo la storia prevale senz’altro la seconda caratteristica.

“Romagna solatia,
dolce paese
cui regnarono Guidi
e Malatesta, cui tenne pure
il Passator cortese,
re della strada,
re della foresta”
(Giovanni Pascoli nell’ultimo verso della poesia “Romagna”).

Ma fu veramente “cortese” il Passatore?
Fu il bandito più spietato e crudele dell’800 in Romagna.

E allora perchè quell’aggettivo “cortese” utilizzato dal Pascoli? E la fama che rubava ai ricchi per dare ai poveri come una specie di Robin Hood?

In verità non era così: rubava ai ricchi perchè rubando ai ricchi il bottino era più consistente; presa la parte più sostanziosa per se stesso e dopo aver distribuito quanto dovuto ai componenti della sua banda, dava anche a chi lo proteggeva, si trattava del popolino più miserabile che entusiasta delle sue gesta, provvedeva a nasconderlo unitamente ai suoi compari, per sottrarli alla ricerca della giustizia.

Il suo vero nome era Stefano Pelloni, chiamato da bambino Stuvanè, poi in gioventù Passatore con riferimento al lavoro di traghettatore del padre. Nacque nel 1824 in un piccolo centro, Boncellino, nel comune di Bagnacavallo. Ebbe subito problemi con la giustizia per la sua indole irascibile e ribelle, si incendiava per un niente.

Quindicenne ferì con una sassata una ragazza; data la sua giovane età non venne arrestato, ne pagò le conseguenze il padre che fu costretto a risarcire il danno. La sua carriera di fuorilegge iniziò non ancora ventenne; in una lite dopo abbondanti libagioni, colpì con un sasso (ancora il sasso come arma), inavvertitamente, sbagliando bersaglio, una giovane donna incinta che perse il bambino e alcuni giorni dopo morì.

Fu arrestato, rinchiuso nel carcere a gestione famigliare di Russi da dove fuggì grazie alla complicità della moglie del carceriere che non disdegnò le sue attenzioni; ripreso fu condotto nel carcere di Bagnacavallo da dove evase. Fu nuovamente arrestato e condannato ai lavori forzati alla costruzione del porto di Ancona.

Evaso durante il trasferimento ad Ancona, dove avrebbe dovuto scontare una condanna a quattro anni di lavori forzati per il furto di due fucili da caccia, più altri tre anni di detenzione per la fuga dal carcere di Bagnacavallo, e datosi alla macchia, entrò a far parte di un gruppo di fuorilegge.

Il gruppo divenne in breve una banda sempre più numerosa, audace, agguerrita e capace di efferatissime violenze, che operò per tre anni nelle Legazioni Pontificie, tenendo in scacco la gendarmeria grazie a una vasta rete di spie, informatori, protettori, ricettatori e connivenza con alcuni rappresentanti delle forze dell’ordine.

Utile anche l’omertà della popolazione più povera, ricompensata con i proventi dei suoi furti e rapine. Furono queste elargizioni che contribuirono a creare la sua fama di “Robin Hood” romagnolo.

Le cronache locali lo descrivono come un bel giovane, aitante, amato dalle fanciulle. Molti credettero che fosse un rivoluzionario insofferente al potere, un simbolo della lotta contro un governo oppressore; in realtà «Stuvanèn d’ê Pasadôr» (Stefano (figlio) del passatore, così dopo ogni misfatto in segno di scherno e di sfida urlava il proprio nome) non era interessato alla politica.

Dai boschi di Brisighella, la sua banda colpì in molti paesi della Romagna: Bagnara di Romagna, Castelguelfo, Consandolo, Forlimpopoli, Cotignola, Brisighella, Longiano, tutti mirati e ben organizzati durante le quali metteva a sacco le abitazioni dei più ricchi, che venivano torturati e seviziati per farsi rivelare i nascondigli degli scudi e delle gioie; non disdegnando l’assalto alla diligenza armata pontificia nei pressi di Santarcangelo che fruttò 2.000 ducati.

L’assalto a Forlimpopoli è degno di essere raccontato più dettagliatamente per la perfetta regia operata in quella circostanza. La sua banda scelse il giorno in cui la maggioranza dei cittadini benestanti erano riuniti in teatro. Travestiti da guardie in transito si fecero aprire le porte, sequestrarono guardiani e guardie.

Bloccarono le uscite salirono sul palcoscenico, puntarono le armi contro gli spettatori terrorizzati e, facendo l’appello, rapinarono di quanto avevano con sé i presenti, poi si fecero accompagnare a casa loro e li rapinarono. Fra le famiglie razziate vi fu anche quella di Pellegrino Artusi. A raccolto concluso, gli efferati banditi stuprarono alcune donne, e tra queste Gertrude, sorella dell’Artusi, la quale impazzì per lo choc.

La vicenda al Teatro di Forlimpopoli divenne talmente popolare da essere cantata per decenni dai cantastorie. Il sacco di Forlimpopoli durò 4 ore e alla fine fruttò 5611 ducati.

In realtà i comportamenti del Passatore sono da considerarsi quelli tipici di un criminale che gratuitamente seminava violenza e uccideva con sadismo: è stato, ad esempio, l’unico brigante dell’Ottocento ad aver sezionato alcune vittime.

Oltre a un caso di sevizie nei confronti di una presunta spia (letteralmente fatta a pezzi), in almeno altre tre occasioni il Passatore infierì sulle sue vittime, o tagliandone la testa e prendendola a calci, o esponendola in mezzo alla strada come monito alle potenziali spie della gendarmeria.

Una grossa taglia era stata promessa a chi dava notizie utili a catturarlo. Fra le sue scorribande è degna di essere ricordata, per l’efferatezza utilizzata, anche l’incursione che fece nel settembre 1849 a Cascina Mandriole, ove nell’agosto era morta Anita Garibaldi. Il brigante vi fu attirato dalle dicerie locali, secondo le quali Stefano Ravaglia, che aveva ospitato Garibaldi e consorte, e seppellito Anita alla sua morte, fosse in possesso di una somma di denaro, in oro e carta valute, ricevuta dallo stesso generale.

La famiglia del Ravaglia fu torturata per estorcere la confessione sul presunto nascondiglio del tesoro. Giuseppe, fratello di Stefano, fu ucciso. Nel marzo 1851, grazie ad una segnalazione, “Stuvanèn d’ê Pasadôr” fu individuato dalla Gendarmeria Pontificia in un capanno di caccia del podere Molesa, nei pressi di Russi; durante lo scontro a fuoco che ne seguì fu colpito mortalmente.

Il suo cadavere fu messo su un carretto ed esibito per tutte le strade della Romagna, a dimostrazione dell’effettiva fine del brigante e per evitare l’insorgere di eventuali future leggende sulla sua morte. Il cadavere venne poi seppellito presso la Certosa di Bologna in luogo sconsacrato.

*( Poesia di G. Pascoli – Armando Fusinato – Canzone del Passatore di Raoul e Secondo Casadei – Sceneggiato RAI del 1977 in due puntate – Commedia musicale 2008 – 2 Film nel 1947 e 1973 – Quartetto Cetra 1966 – Romanzi vari – canzone Son Passator cortese, nel 2009 – 100 km. del Passatore (Firenze – Faenza) – Fiera del Passatore in molti paesi della Romagna – molti esercizi commerciali portano il suo nome.)

Ph: consorziovinidiromagna.it

Si trovano un sacco di versioni sulla sua storia, ecco la versione di Arrigo Stupazzini:

Stefano Pelloni (stuvanein) detto il passatore perché suo padre era traghettatore sul fiume Lamone, fu un bandito feroce e sanguinario.

Uccise, anche torturandoli, proprietari terrieri e non solo. Celebre fu l’impresa banditesca di Forlimpopoli in cui occupò nottetempo la città, irruppe nel teatro durante una rappresentazione e tenne in ostaggio il pubblico femminile mentre gli uomini, accompagnati dai banditi, conducevano gli stessi alle proprie case per saccheggiarle.

Quella notte fu violentata una donna e una sorella di Pellegrino Artusi, salvatasi su un tetto urlò per ore fino a impazzire.

Durante una delle solite rapine i compagni della banda scannarono un povero diavolo in una matra e gli mangiarono il cuore.

Era temuto dai contadini e alcuni di loro lo aiutavano nelle fughe e lo nascondevano poiché il passatore li pagava regolarmente: da qui la solita sciocca leggenda che lui era amico del popolo e che rubava ai ricchi per dare ai poveri.

Non si capisce perché dovesse fare il contrario. Giovanni Pascoli che all’epoca dei fatti non era nato lo definisce “cortese” poiché Stvanein da ragazzo aiutava il padre a far passare il Lamone e all’epoca non era ancora un fuorilegge.

L’effige del passatore con cappello a pan di zucchero, la barba e il trombone è falsa e fuorviante. Quella è l’immagine di un brigante calabrese del Settecento.

Si conosce la vera immagine del passatore, riconosciuta dalla sorella dopo la sua uccisione: un giovane dal viso aguzzo e pio con una leggera mosca sul mento,una macchia sulfurea sotto l’occhio sinistro come molti cacciatori avevano fino a poco tempo fa, per l’uso della polvere da sparo nel fucile; indossava una saccona da cacciatore e calzava un cappellino floscio.

Non usava certo il trombone ma un fucile austriaco di precisione e colpiva una moneta a cento passi…

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